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Sindrome di Tôret - recensione

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E faccio un disco che è hardcore anche se c'ha un'altra forma ....Per arrivare a tua nonna

Riproponiamo una piccola recensione scritta per anomalieperiferiche.com:

Al primo ascolto sono rimasto deluso dalle produzioni.

No, in realtà non deluso ma mi aspettavo delle produzioni più hiphop. Dopo “non è il mio genere“ molto più legato alla scena rap, si è poi passati a “educazione sabauda” in cui cambiava il tipo di produzioni meno rap (ma un ottimo compromesso) per giungere a “Sindrome di toret” in cui il rap rimane (come scittura e tecnica) ma molto meno per quel che riguarda le produzioni.
Non dico che non siano ottime produzioni, ma da amante del rap old-school mi aspettavo altro.

Dopo qualche ascolto tutto ciò è passato in secondo piano.

Sindrome di toret” è un concept album che esplora le tematiche della comunicazione, che come si evince da tutti i brani, è complicata e spesso ne si abusa.
Facendo riferimento a Gaber di partecipazione ora ne si abusa… per colpa della facilità di dire la propria da dietro un monitor, siamo finiti a dare opinioni a cazzo.

Come qualche tempo fa
Libertà è partecipazione
Ma anche il maestro vedesse in che situazione
Siamo adesso cambierebbe posizione
cit. "Metti che domani"

La profondità dei contenuti rimane la stessa a cui Willie Peyote ci ha abituato, ma con un’altra forma

E faccio un disco che è hardcore
Anche se c'ha un'altra forma
Per arrivare a tua nonna
cit. “avanvera

Per arrivare ad un vasto pubblico basta cambiare forma rimanendo sugli stessi contenuti? Forse si dato che la scrittura nichilista e senza filtro rimane una firma del rapper(se vogliamo mettere etichette) torinese.

Splendida nel ritornello e nell’ambientazione pessimistica “vendesi”. Ammetto di non aver approfondito il testo, se parla della pressione di questa società su successo/fallimento o se parla di sentimenti… ma non importa. L’intro e il ritornello spaccano!

Ps. Il singolo “i cani” mi ha creato un certo scompenso interiore quando mi son ritrovato ad urlare AMEN al concerto.

Rimane un ottimo album che può apparire un po' troppo pettinato al primo ascolto ma che nei contenuti rimane in linea col "Willie Peyote" che conosciamo e che non stanca anche dopo molti ascolti, forse proprio grazie al tipo di produzioni.
Volendo parlare di "etichette" sta proprio la il problema, dobbiamo prendere la musica come musica quindi "Sono più rap o più indie cazzone?" mi prende in pieno e alla fine chi se ne fotte?!
...ti piace? bene!
...non ti piace? bene lo stesso.
Rimane in rotazione nella mia autoradio.

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